SOMMARIO:
1. Cos’è il kefir
2. Aspetti nutrizionali
3. Kefir e probiotici
4. Benefici del kefir
5. Come utilizzarlo in cucina
6. Conclusioni
Il kefir ha origini in Asia, probabilmente nelle terre del Caucaso. Il termine sembrerebbe derivare dalla parola turca keyif: “sentirsi bene” e le sue tracce sono presenti già nel Milione di Marco Polo, che lo descrive come una bevanda che ricorda il sapore del vino bianco, ma derivante dal latte, chiamata “chemmisi”.
Tradizionalmente il latte veniva posto in sacche di pelle nelle quali venivano aggiunti precedentemente dei granuli ottenuti dalla flora batterica caprina. Il suo consumo è rimasto limitato alla tradizione di alcune regioni finché, grazie ad un immunologo Russo (Mečnikov), non è stato portato all’attenzione del mondo, per i suoi presunti benefici sulla longevità.
Solo di recente invece il kefir si è affermato in Europa e in Italia, facendosi spazio nella cultura anche Italiana come “superfood”.
A livello nutrizionale, in 100 g di kefir, troviamo:
– 74 kcal,
– 4,5 g di grassi (di cui 2,9 g saturi),
– 3,7 g di proteine (ad alto valore biologico),
– 4 g di carboidrati.
E un discreto contenuto di vitamine e minerali. In questo senso è simile allo yogurt, essendo un derivato del latte.
A differenza dello yogurt però il kefir può essere anche ottenuto a partire da acqua, zuccherata o meno oppure utilizzando infusi di frutta, spezie ed erbe aromatiche. Ovviamente il risultato finale in termini di nutrizione sarà completamente differente. E non solo per macro e micro nutrienti.
3. Kefir e composizione batterica
Per ottenere il kefir sono necessari i granuli batterici che servono per metabolizzare i costituenti del latte, fermentandolo fino ad ottenere la bevanda finale. In questi granuli sono presenti batteri e lieviti di diversa origine, simbiotici tra loro (cioè che convivono influenzandosi) che producono una serie di sostanze utili alla loro sopravvivenza e biologicamente attive.
La varietà delle “specie” di microrganismi che si possono trovare nei granuli è dipendente innanzitutto dall’origine dei granuli ma anche dal tipo di latte utilizzato per il processo (perché le sostanze in esso contenuto favoriranno una o l’altra specie batterica), metodiche di produzione (temperatura, agitazione, ecc).
In generale, nel kefir, è possibile trovare diverse specie batteriche e lieviti come Lactobacillus kefiri, Saccharomyces turicensis, Saccharomyces cerevisiae, Acetobacter, Lactococcus. Grazie e questi microrganismi alla fine si ottiene un prodotto acidulo, leggermente frizzante e diverso in quanto aroma a seconda dell’origine delle materie prime.
Attività antimicrobica – grazie alla sua composizione in batteri è in grado da un lato di inibire la crescita di batteri patogeni dall’altro, i peptidi contenuti all’interno del Kefir mostrano un’attività batteriocida (uccide alcuni batteri). In particolare, l’uso del Kefir potrebbe avere un ruolo interessante per quanto riguarda il controllo della Candida Albicans, di Aspergillus flavus, di Clostridium difficile e della sintesi di un composto contaminante come l’Aflatossina B1. Il ruolo potenziale quanti potrebbe rivelarsi utile nella conservazione degli alimenti, nel controllo della flora batterica e anche per quanto riguarda le condizioni diarroiche causate da patogeni.
Attività antinfiammatoria – durante la produzione del kefir si formano sostanze classificate come induttori di apoptosi (un processo di controllo della “vita” cellulare che fa si che cellule danneggiate non sopravvivano e quindi non vadano incontro a potenziali mutazioni o alterazioni delle funzioni). Altre sostanze potrebbero essere in grado di proteggere in DNA dal danneggiamento.
Attività immunostimolante – molte sostanze presenti potrebbero stimolare la risposta del sistema immunitario verso gli agenti esterni, chiaramente il beneficio riguarderebbe la barriera intestinale, primo organo coinvolto a livello immunitario.
Attività ipocolesterolemizzante – a livello intestinale riduce l’assorbimento di colesterolo, aiutando quindi gli ipercolesterolemici a ridurne l’assorbimento.
5. Come utilizzarlo in cucina
Il gusto del kefir è simile allo yogurt, lievemente più acido e soprattutto arricchito di una leggera effervescenza (dovuta proprio alla fermentazione di alcuni batteri nei riguardi del lattosio) che lo rende molto caratteristico (soprattutto quello prodotto a livello “amatoriale”, perché spesso questa effervescenza si perde nei processi industriali). Può essere più o meno liquido e più o meno aromatico a seconda dei processi produttivi, del latte utilizzato in partenza e, di fondamentale importanza, del tipo di granuli batterici utilizzati, responsabili della viscosità, dell’acidità e della quantità di lattosio nel prodotto finale.
Di base il kefir è considerando una fresca bevanda, da completare con aromi oppure da utilizzare come condimento di macedonie di frutta. In alcuni paesi è utilizzato anche in piatti salati, come elemento principale di salse per condire ortaggi, patate, carne o addirittura pesce. Per quanto riguarda i prodotti da forno, grazie alla presenza di lieviti, è usato anche per preparare il pane o chiaramente per sostituire lo yogurt.
Come tutti gli studi che riguardano i singoli alimenti c’è bisogno di ulteriori approfondimenti prima di dichiarare un vero e proprio effetto benefico per la prevenzione delle varie patologie.
A prescindere da tutto, il kefir resta una bevanda particolare, gustosa, dall’attività probiotica (favorisce la crescita di batteri positivi a livello intestinale) e indicata nella preparazione di una vastissima quantità di piatti. È un alimento relativamente “nuovo” da portare sulle nostre tavole, da provare, e perché no, da “godere” per quanto riguarda la salute.
Valeria Cangiano
Bibliografia
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